Rilanciare il gas nazionale e le rinnovabili, per ridurre sensibilmente la nostra dipendenza energetica. Lasciandoci alle spalle il Nimby
Mario Doldi
Torniamo a parlare dell'effetto Nimby (acronimo inglese il cui significato è "non nel mio giardino"), portato alla ribalta sulle cronache dei giornali a seguito dell'emergenza energetica, aggravata dalla guerra in Ucraina. Per via dei troppi "No" che negli ultimi decenni hanno impedito la costruzione di infrastrutture energetiche, importanti per lo sviluppo del Paese.
Un esempio eclatante, il rigassificatore che la British Gas voleva costruire a Brindisi. Questo fenomeno oppositivo a opere sgradite è molto diffuso, anche se, come vedremo, non è ineluttabile: si può gestire o prevenirne l'insorgenza. In tempi ragionevoli e con grande giovamento delle procedure autorizzatorie. Superare il Nimby, pertanto, è la condicio sine qua non per rilanciare la produzione di gas nazionale e lo sviluppo delle rinnovabili, al fine di ridurre sensibilmente la nostra dipendenza energetica. Diversamente, i progetti resteranno sulla carta.
Com'è noto per superare la dipendenza energetica dalla Russia, il governo in tempi rapidi ha trovato nel continente africano i nuovi fornitori di gas. Rimane sullo sfondo il delicato tema della sicurezza delle forniture, a cui occorre aggiungere i costi ambientali (per le dispersioni di CO2 che il trasporto implicherà). Quindi la scelta di puntare a ridurre in modo rilevante la nostra dipendenza energetica col binomio gas naturale italiano a km zero e rinnovabili, non è per nulla provocatoria né peregrina. Per quel che riguarda il gas, infatti, "nel sottosuolo d'Italia sono nascosti (tra riserve certe e possibili)... 350 miliardi di metri cubi di gas. La stima è di una decina di anni fa ... altre grandi riserve che non erano state conteggiate, oggi sono previste sotto il fondale dello Ionio e sotto il mare a nord-ovest della Sardegna ("Gas in Sicilia e Adriatico: la mappa dei giacimenti dove si potrà estrarre" il Sole 24 Ore, 20 febbraio 2022). In effetti la produzione interna di gas naturale, a metà degli anni '90 aveva addirittura sfiorato i 21 miliardi di metri cubi di gas all'anno, per crollare agli attuali 2,5. Più avanti avremo modo di spiegare le cause di tale vertiginoso declino.
Ma in Italia il rilancio del gas naturale, oltre al Nimby, deve fare i conti col PiTESAI, il "Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee" (redatto ai sensi della Legge 11 febbraio 2019, n 12). Un piano che pone vincoli di ogni genere "che limitano fortemente l'attività di esplorazione e produzione di gas naturale e quindi la possibilità di effettuare nuovi investimenti" (Assorisorse, aprile 2022). Anche il Parlamento italiano si è interessato di tale documento. La Camera, infatti, il 13 aprile scorso ha approvato un odg di FdI che "invita il governo a correggere il PiTESAI per estrarre più gas dal sottosuolo italiano" (Libero, 14 aprile 2022). Il risultato del voto, udite udite, sancisce la presenza di una maggioranza parlamentare a favore del rilancio del gas nazionale.
Tornando a quanto detto sopra, ci si chiede a questo punto come sia stato possibile un crollo così vertiginoso della produzione domestica di gas. È interessante notare come il declino produttivo, non sia stato provocato da una diminuzione delle riserve disponibili, bensì dalle "forti opposizioni locali e campagne mediatiche che hanno additato queste attività, senza controprove scientifiche, come responsabili di eventi negativi ambientali" ("Tra-guardare il futuro"di Gilberto Dialuce, 2017). Così le aziende del settore hanno fatto i salti mortali per poter operare. Soprattutto per capire "dove si può investire e dove al contrario i comitati Nimby impediscono de facto di usare le risorse" ("Oil&Gas strangolato dai Nimby" Il Sole 24 Ore, 2 aprile 2017).
Inoltre tale fenomeno colpisce duramente anche le fonti rinnovabili. Lo conferma Legambiente Toscana con la pubblicazione della ricerca intitolata "Scacco matto alle rinnovabili" del 14 gennaio 2022, nella quale ammette che "in Italia sono ancora troppi gli ostacoli alla diffusione delle fonti pulite ... a causa di burocrazia e presenza di comitati Nimby e Nimto". Basti dire che solo nel settore degli impianti di Biogas e Biometano, sono 180 i progetti bloccati o contestati dai comitati locali ("Imprese in corsa per produrre Biogas" Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2022). Per non parlare della Geotermia in Toscana, laddove "la logica del - non nel mio cortile - ha impedito alla Regione di essere autosufficiente energicamente con la Geotermia" (Antonio Mazzeo, Presidente del Consiglio regionale).
Per quanto riguarda invece le cosiddette "trivelle" (che poi sono "perforazioni"), alcuni dicono che c'è voluta una guerra per "abbattere i tabù No Triv". E quindi un'epoca sta per concludersi. Ma sarà davvero così? Ne dubito. Perché l'onda lunga dell'imponente manifestazione No Triv dei 60mila di Lanciano (23 maggio 2015), contro il progetto della piattaforma Ombrina Mare di fronte alla costa chietina, continua a generare fenomeni emulativi. Sul piede di guerra, infatti, troviamo il Comune rivierasco di Martinsicuro (TE), con una netta opposizione alla perforazione del nuovo pozzo Donata 4 Dir, ubicato nel giacimento gas Donata in Adriatico di fronte alla costa teramana. L'amministrazione si dichiara "pronta alla battaglia con altri enti locali (Comuni di Pineto, Alba Adriatica e Silvi, ndr) contro questo scempio, perché le trivelle sono incompatibili con lo sviluppo turistico e la tutela del territorio"(il Centro, 4 aprile 2022).
In effetti i conflitti Nimby godono di ottima salute. Secondo i recenti dati elaborati per il Foglio dall'Osservatorio Nimby Forum, sono 485 le opere e gli impianti contestati. E come abbiamo già visto, "di questi, più della metà sono progetti energetici (57,4 per cento) e sul podio ci sono paradossalmente impianti da fonti rinnovabili (73,3 per cento), Biogas e Biometano in testa"... a cui seguono "i giacimenti nazionali, ma anche parchi eolici, centrali idroelettriche, rigassificatori e termovalorizzatori" (Il Foglio, 29 marzo 2022). Ma come porre fine o ridurre questa deriva che dura ormai da un trentennio? E qui torniamo al nostro tema centrale, come superare il Nimby.
In primis con un occhio ai cambiamenti avvenuti in questi ultimi anni sul piano sociale, politico e dei media. Viviamo difatti in un'epoca dove fasce di cittadini sono sempre meno disposte a dare credito agli esperti, attratte dalla narrazione che circola sui social network. Spesse volte a scapito della ragione e dei fatti. Un fenomeno questo analizzato nel saggio di William Davies "Stati nervosi. Come l'emotività ha conquistato il mondo" (Ed. Einaudi). Un'impostazione che fa pendant con l'"Italia irrazionale" descritta nell'ultimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. Resta solo da aggiungere il progressivo calo di fiducia nelle istituzioni, proprio mentre dal basso sale la spinta di cittadini e gruppi sociali, per essere ascoltati e influire sulle scelte che riguardano il territorio in cui vivono. La conseguenza di tale esclusione dà luogo alla formazione di comitati per il no.
Cito a mo'd'esempio quanto accaduto di recente a Valmadonna, una piccola frazione di Alessandria di circa 2.000 abitanti. Ecco uno stralcio di un loro comunicato: "siamo una comunità che si è mobilitata e raccolta in comitato dopo aver saputo, per caso, di un progetto per la realizzazione di un impianto di produzione di Biogas a Valmadonna". Si evince chiaramente che l'aver appreso "per caso" dell'esistenza del progetto, la dice lunga sul fatto di essersi trovati di fronte a un atteggiamento poco rispettoso, a sua volta, foriero di indignazione e risentimento. È questo vissuto a dare forza e vigore alla protesta, insieme ovviamente alla percezione dei rischi annessi per l'ambiente e la salute. Insomma, dopo circa un anno di battaglie con proteste di piazza, raccolte di firme, "una pagina social e manifestazioni con testimonial", l'azienda proponente ritira il progetto.
Questa grave situazione impone la necessità di ripensare il modo in cui i soggetti proponenti si relazionano con il territorio. Per mettere in campo, attraverso buone pratiche di Stakeholder Engagement, nuovi approcci dialogici e di confronto che contemplino processi decisionali inclusivi, già nelle prime fasi della progettazione. Imperniati sul coinvolgimento diretto dei vari gruppi di portatori d'interesse sul territorio: le istituzioni, i settori economici e produttivi, le associazioni culturali, i media locali, ecc ... . Allo scopo di giungere a una decisione sul progetto, il più possibile condivisa e soddisfacente per entrambe le parti in gioco. Col vantaggio di rendere l'iter autorizzatorio meno pesante e complesso e quindi più spedito, senza aggravi documentali e Conferenze di Servizi senza fine. Questo perché il decisore politico è meno influenzato dalle opposizioni sul territorio: oltre ai "No" fanno la loro comparsa i "Sì".
Volendo riassumere la strategia comunicativa per le aziende energetiche, direi così: più bottom-up, meno top-down. Ossia partire dalle comunità locali promuovendo pratiche sostenibili dal punto di vista sociale, capaci di prevenire l'insorgenza di conflitti o a gestirli nei casi in cui si siano manifestati. Creando così le premesse affinché il nostro Paese possa emanciparsi dall'import di energia. Per un'indipendenza energetica costruita con la partecipazione dei territori.
Com'è noto per superare la dipendenza energetica dalla Russia, il governo in tempi rapidi ha trovato nel continente africano i nuovi fornitori di gas. Rimane sullo sfondo il delicato tema della sicurezza delle forniture, a cui occorre aggiungere i costi ambientali (per le dispersioni di CO2 che il trasporto implicherà). Quindi la scelta di puntare a ridurre in modo rilevante la nostra dipendenza energetica col binomio gas naturale italiano a km zero e rinnovabili, non è per nulla provocatoria né peregrina. Per quel che riguarda il gas, infatti, "nel sottosuolo d'Italia sono nascosti (tra riserve certe e possibili)... 350 miliardi di metri cubi di gas. La stima è di una decina di anni fa ... altre grandi riserve che non erano state conteggiate, oggi sono previste sotto il fondale dello Ionio e sotto il mare a nord-ovest della Sardegna ("Gas in Sicilia e Adriatico: la mappa dei giacimenti dove si potrà estrarre" il Sole 24 Ore, 20 febbraio 2022). In effetti la produzione interna di gas naturale, a metà degli anni '90 aveva addirittura sfiorato i 21 miliardi di metri cubi di gas all'anno, per crollare agli attuali 2,5. Più avanti avremo modo di spiegare le cause di tale vertiginoso declino.
Ma in Italia il rilancio del gas naturale, oltre al Nimby, deve fare i conti col PiTESAI, il "Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee" (redatto ai sensi della Legge 11 febbraio 2019, n 12). Un piano che pone vincoli di ogni genere "che limitano fortemente l'attività di esplorazione e produzione di gas naturale e quindi la possibilità di effettuare nuovi investimenti" (Assorisorse, aprile 2022). Anche il Parlamento italiano si è interessato di tale documento. La Camera, infatti, il 13 aprile scorso ha approvato un odg di FdI che "invita il governo a correggere il PiTESAI per estrarre più gas dal sottosuolo italiano" (Libero, 14 aprile 2022). Il risultato del voto, udite udite, sancisce la presenza di una maggioranza parlamentare a favore del rilancio del gas nazionale.
Tornando a quanto detto sopra, ci si chiede a questo punto come sia stato possibile un crollo così vertiginoso della produzione domestica di gas. È interessante notare come il declino produttivo, non sia stato provocato da una diminuzione delle riserve disponibili, bensì dalle "forti opposizioni locali e campagne mediatiche che hanno additato queste attività, senza controprove scientifiche, come responsabili di eventi negativi ambientali" ("Tra-guardare il futuro"di Gilberto Dialuce, 2017). Così le aziende del settore hanno fatto i salti mortali per poter operare. Soprattutto per capire "dove si può investire e dove al contrario i comitati Nimby impediscono de facto di usare le risorse" ("Oil&Gas strangolato dai Nimby" Il Sole 24 Ore, 2 aprile 2017).
Inoltre tale fenomeno colpisce duramente anche le fonti rinnovabili. Lo conferma Legambiente Toscana con la pubblicazione della ricerca intitolata "Scacco matto alle rinnovabili" del 14 gennaio 2022, nella quale ammette che "in Italia sono ancora troppi gli ostacoli alla diffusione delle fonti pulite ... a causa di burocrazia e presenza di comitati Nimby e Nimto". Basti dire che solo nel settore degli impianti di Biogas e Biometano, sono 180 i progetti bloccati o contestati dai comitati locali ("Imprese in corsa per produrre Biogas" Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2022). Per non parlare della Geotermia in Toscana, laddove "la logica del - non nel mio cortile - ha impedito alla Regione di essere autosufficiente energicamente con la Geotermia" (Antonio Mazzeo, Presidente del Consiglio regionale).
Per quanto riguarda invece le cosiddette "trivelle" (che poi sono "perforazioni"), alcuni dicono che c'è voluta una guerra per "abbattere i tabù No Triv". E quindi un'epoca sta per concludersi. Ma sarà davvero così? Ne dubito. Perché l'onda lunga dell'imponente manifestazione No Triv dei 60mila di Lanciano (23 maggio 2015), contro il progetto della piattaforma Ombrina Mare di fronte alla costa chietina, continua a generare fenomeni emulativi. Sul piede di guerra, infatti, troviamo il Comune rivierasco di Martinsicuro (TE), con una netta opposizione alla perforazione del nuovo pozzo Donata 4 Dir, ubicato nel giacimento gas Donata in Adriatico di fronte alla costa teramana. L'amministrazione si dichiara "pronta alla battaglia con altri enti locali (Comuni di Pineto, Alba Adriatica e Silvi, ndr) contro questo scempio, perché le trivelle sono incompatibili con lo sviluppo turistico e la tutela del territorio"(il Centro, 4 aprile 2022).
In effetti i conflitti Nimby godono di ottima salute. Secondo i recenti dati elaborati per il Foglio dall'Osservatorio Nimby Forum, sono 485 le opere e gli impianti contestati. E come abbiamo già visto, "di questi, più della metà sono progetti energetici (57,4 per cento) e sul podio ci sono paradossalmente impianti da fonti rinnovabili (73,3 per cento), Biogas e Biometano in testa"... a cui seguono "i giacimenti nazionali, ma anche parchi eolici, centrali idroelettriche, rigassificatori e termovalorizzatori" (Il Foglio, 29 marzo 2022). Ma come porre fine o ridurre questa deriva che dura ormai da un trentennio? E qui torniamo al nostro tema centrale, come superare il Nimby.
In primis con un occhio ai cambiamenti avvenuti in questi ultimi anni sul piano sociale, politico e dei media. Viviamo difatti in un'epoca dove fasce di cittadini sono sempre meno disposte a dare credito agli esperti, attratte dalla narrazione che circola sui social network. Spesse volte a scapito della ragione e dei fatti. Un fenomeno questo analizzato nel saggio di William Davies "Stati nervosi. Come l'emotività ha conquistato il mondo" (Ed. Einaudi). Un'impostazione che fa pendant con l'"Italia irrazionale" descritta nell'ultimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. Resta solo da aggiungere il progressivo calo di fiducia nelle istituzioni, proprio mentre dal basso sale la spinta di cittadini e gruppi sociali, per essere ascoltati e influire sulle scelte che riguardano il territorio in cui vivono. La conseguenza di tale esclusione dà luogo alla formazione di comitati per il no.
Cito a mo'd'esempio quanto accaduto di recente a Valmadonna, una piccola frazione di Alessandria di circa 2.000 abitanti. Ecco uno stralcio di un loro comunicato: "siamo una comunità che si è mobilitata e raccolta in comitato dopo aver saputo, per caso, di un progetto per la realizzazione di un impianto di produzione di Biogas a Valmadonna". Si evince chiaramente che l'aver appreso "per caso" dell'esistenza del progetto, la dice lunga sul fatto di essersi trovati di fronte a un atteggiamento poco rispettoso, a sua volta, foriero di indignazione e risentimento. È questo vissuto a dare forza e vigore alla protesta, insieme ovviamente alla percezione dei rischi annessi per l'ambiente e la salute. Insomma, dopo circa un anno di battaglie con proteste di piazza, raccolte di firme, "una pagina social e manifestazioni con testimonial", l'azienda proponente ritira il progetto.
Questa grave situazione impone la necessità di ripensare il modo in cui i soggetti proponenti si relazionano con il territorio. Per mettere in campo, attraverso buone pratiche di Stakeholder Engagement, nuovi approcci dialogici e di confronto che contemplino processi decisionali inclusivi, già nelle prime fasi della progettazione. Imperniati sul coinvolgimento diretto dei vari gruppi di portatori d'interesse sul territorio: le istituzioni, i settori economici e produttivi, le associazioni culturali, i media locali, ecc ... . Allo scopo di giungere a una decisione sul progetto, il più possibile condivisa e soddisfacente per entrambe le parti in gioco. Col vantaggio di rendere l'iter autorizzatorio meno pesante e complesso e quindi più spedito, senza aggravi documentali e Conferenze di Servizi senza fine. Questo perché il decisore politico è meno influenzato dalle opposizioni sul territorio: oltre ai "No" fanno la loro comparsa i "Sì".
Volendo riassumere la strategia comunicativa per le aziende energetiche, direi così: più bottom-up, meno top-down. Ossia partire dalle comunità locali promuovendo pratiche sostenibili dal punto di vista sociale, capaci di prevenire l'insorgenza di conflitti o a gestirli nei casi in cui si siano manifestati. Creando così le premesse affinché il nostro Paese possa emanciparsi dall'import di energia. Per un'indipendenza energetica costruita con la partecipazione dei territori.
Mercati: Aria e Gas, Inquinamento
Parole chiave: Rinnovabili
- Marco Bellini
- Flavio Parozzi
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