Le PMI italiane devono ridurre le emissioni di CO2
Il 60% delle emissioni industriali arriva dalle imprese sotto i 250 dipendenti. La maggior parte non utilizza nemmeno strumenti per conoscere le proprie performance energetiche, come la Diagnosi.
Le piccole e medie imprese italiane hanno un ruolo molto importante nella transizione energetica verso la "decarbonizzazione" e senza il loro sforzo non sarà possibile raggiungere gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni previsti per il 2030. Uno studio realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile con la Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (Cna) ha messo in luce i consumi energetici e le emissioni delle PMI, gli interventi fatti e gli ostacoli al miglioramento.
Perché il ruolo delle PMI è così importante per rendere più sostenibile l'economia nazionale?
Perché queste aziende costituiscono l'ossatura portante del nostro sistema produttivo ed emettono una grande quantità di CO2 nell'atmosfera. Il loro coinvolgimento, quindi, è una condizione necessaria per favorire la lotta ai cambiamenti climatici tramite l'efficienza energetica e l'utilizzo di fonti pulite.
I consumi e le emissioni delle PMI italiane
Lo studio della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e di Cna ha per oggetto il grande bacino di PMI fino a 250 dipendenti della manifattura (dal tessile alla meccanica, dalla chimica all'alimentare) e delle costruzioni, che impiegano un totale di 4,2 milioni di addetti e producono 661 miliardi di euro di fatturato. In pratica, si tratta dei codici Ateco che afferiscono alla voce "industria" del bilancio energetico nazionale.
Secondo i dati presentati dallo Studio e ricavati dall'Istat e da Eurostat, i consumi energetici di queste imprese ammontano (nel 2018) a oltre 16 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, pari a tutto il gas utilizzato per riscaldare le abitazioni italiane.
Questi consumi, dal punto di vista delle emissioni, si traducono in oltre 44 milioni di tonnellate di CO2 in un anno, ossia il 60% di tutte le emissioni del settore "industria".
In particolare, i settori che più contribuiscono alle emissioni sono quelli più energivori riconducibili alla produzione di materiali da costruzione (19%), alla siderurgia (19%), alla meccanica (16%), seguiti dall'agroalimentare (13%) dove si concentra un grande numero di imprese di questa dimensione.
Dal punto di vista delle fonti di energia, le PMI presentano un rilevante tasso di elettrificazione (37%), anche se le fonti fossili (soprattutto gas) restano dominanti nel mix energetico con il 52% del totale. La quota di fonti rinnovabili ad uso finale è ancora trascurabile, mentre significativo è il calore derivato (8%) che le PMI recuperano da altri processi di combustione.
Gli interventi delle PMI per l'efficienza energetica
Dello studio di Fondazione per lo sviluppo sostenibile e Cna fa parte anche un sondaggio, condotto su circa mille piccole e medie imprese, prevalentemente piccole e micro, dove si evidenzia che sono state già intraprese alcune azioni per ridurre i consumi, ma evidentemente la strada è ancora lunga.
Il 49% delle imprese intervistate, negli ultimi tre anni ha effettuato interventi di efficientamento energetico e/o installato rinnovabili nella propria impresa. La percentuale cresce con l'aumentare delle dimensioni aziendali, dove evidentemente risulta più facile agire. Il risparmio sulla spesa energetica è la motivazione principale che spinge gli interventi (48%), ma risulta importante anche l'attenzione all'ambiente (41%).
Tra le imprese che hanno eseguito interventi, la maggior parte (86%) ha optato per l'efficientamento energetico privilegiando l'illuminazione e la climatizzazione, misure meno strutturali e più semplici da realizzare. Meno della metà (49%) ha puntato sulle fonti rinnovabili, soprattutto impianti fotovoltaici e pompe di calore.
Tra quelle che hanno realizzato interventi, solo una su quattro ha utilizzato incentivi e/o agevolazioni e la causa principale è la complessità burocratica e la mancanza di uno strumento ad hoc calibrato sulle esigenze delle realtà più piccole. Eppure gli incentivi non mancano (per sapere di più leggi la nostra Guida 2021 Incentivi per l'efficienza energetica).
Diagnosi Energetica ancora poco diffusa
Un ultimo dato fa pensare a quanta strada c'è ancora da fare: quasi i due terzi delle imprese, concentrate soprattutto nella fascia delle più piccole, non conoscono le proprie performance energetiche.
Il 63% dei rispondenti, infatti, ha dichiarato di non utilizzare uno strumento per la gestione o il monitoraggio dei consumi energetici, un elemento fondamentale per individuare gli interventi più efficaci e decidere di metterli in pratica.
I soggetti che effettuano la Diagnosi Energetica obbligatoria o volontaria sono prevalentemente quelli più grandi, dai 50 dipendenti in su.
Invece, l'utilizzo della Diagnosi Energetica è sempre un passo fondamentale per capire come e quanto si consuma e dove conviene agire per migliorare le proprie performance, diminuire i costi operativi e fare anche bene all'ambiente (per sapere tutto leggi la Guida alla Diagnosi Energetica).
Dello studio di Fondazione per lo sviluppo sostenibile e Cna fa parte anche un sondaggio, condotto su circa mille piccole e medie imprese, prevalentemente piccole e micro, dove si evidenzia che sono state già intraprese alcune azioni per ridurre i consumi, ma evidentemente la strada è ancora lunga.
Il 49% delle imprese intervistate, negli ultimi tre anni ha effettuato interventi di efficientamento energetico e/o installato rinnovabili nella propria impresa. La percentuale cresce con l'aumentare delle dimensioni aziendali, dove evidentemente risulta più facile agire. Il risparmio sulla spesa energetica è la motivazione principale che spinge gli interventi (48%), ma risulta importante anche l'attenzione all'ambiente (41%).
Tra le imprese che hanno eseguito interventi, la maggior parte (86%) ha optato per l'efficientamento energetico privilegiando l'illuminazione e la climatizzazione, misure meno strutturali e più semplici da realizzare. Meno della metà (49%) ha puntato sulle fonti rinnovabili, soprattutto impianti fotovoltaici e pompe di calore.
Tra quelle che hanno realizzato interventi, solo una su quattro ha utilizzato incentivi e/o agevolazioni e la causa principale è la complessità burocratica e la mancanza di uno strumento ad hoc calibrato sulle esigenze delle realtà più piccole. Eppure gli incentivi non mancano (per sapere di più leggi la nostra Guida 2021 Incentivi per l'efficienza energetica).
Diagnosi Energetica ancora poco diffusa
Un ultimo dato fa pensare a quanta strada c'è ancora da fare: quasi i due terzi delle imprese, concentrate soprattutto nella fascia delle più piccole, non conoscono le proprie performance energetiche.
Il 63% dei rispondenti, infatti, ha dichiarato di non utilizzare uno strumento per la gestione o il monitoraggio dei consumi energetici, un elemento fondamentale per individuare gli interventi più efficaci e decidere di metterli in pratica.
I soggetti che effettuano la Diagnosi Energetica obbligatoria o volontaria sono prevalentemente quelli più grandi, dai 50 dipendenti in su.
Invece, l'utilizzo della Diagnosi Energetica è sempre un passo fondamentale per capire come e quanto si consuma e dove conviene agire per migliorare le proprie performance, diminuire i costi operativi e fare anche bene all'ambiente (per sapere tutto leggi la Guida alla Diagnosi Energetica).
Settori: Ambiente, Analisi, abbattimento e Controllo emissioni, Cambiamento climatico, Efficienza energetica industriale, Energia, GAS, Inquinamento, Rinnovabili, Termotecnica industriale
Mercati: Agricoltura e Allevamenti, Alimentare e Beverage, Aria e Gas, Chimica, Petrolchimica, Plastica, Inquinamento
Parole chiave: Abbattimento emissioni, Bilancio energetico, Cambiamento climatico, Consumi energetici, Decarbonizzazione, Efficienza energetica, Imprese energivore, Riduzione CO2, Riduzione NOx, Rinnovabili, Transizione energetica
- Andrea Maffezzoli
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